7 cattive social abitudini difficili a morire

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Sarò franca. La questione è questa: molti pensano di poter fare i social media cosi senza averne le competenze, gli strumenti nè le capacità. A volte (troppe volte, a dirla tutta) si crede che neppure sia una professione seria: che ci vuole a pubblicare un post su Facebook, a twittare un cinguettìo, a postare una foto?

Lascia perdere che poi, per riuscire realmente a catturare l’attenzione contano le parole che accompagnano un’immagine o le foto che arricchiscono le parole, le espressioni che vivacizzano uno status, la capacità di essere incisivi in 140 caratteri, l’abilità nell’adattare il linguaggio al medium e quindi anche al target di riferimento. Lascia perdere che prima di giungere alla fase di pubblicazione c’è tutta una strategia elaborata e programmata attentamente. Lascia perdere anche che prima, durante e dopo c’è tutta un’altra fase di monitoraggio e ascolto della web reputation. E lascia perdere pure che solo dei veri professionisti sanno realmente cosa fare, come e quando, sono in grado di reagire ad una crisi in tempi rapidi e nei modi giusti e sanno anche in che modo rimediare ad un errore.

Ah, ma davvero fare i social media cosi implica tutto questo? Ma guarda un po’!

Da qui, dalla ben consolidata mancanza di coscienza riguardo all’importanza che queste nuove professioni hanno per un brand che voglia crescere e consolidarsi, proliferano inevitabilmente tutta una serie di cattive social abitudini dure a morire:

#1.  Ma sì, di profilo privato non è mai morto nessuno!

Lo so, siamo in Italia e comprendere la differenza tra pubblico e privato è ben più complicato che altrove. Ma fattene una ragione, per cortesia! Solo una persona con nome, cognome e carta di identità può avere un profilo privato.

Di tanto in tanto spunta su Facebook uno status esasperato di qualche social media coso esausto dal dover ricordare che le Fan Pages (o le My Business Pages)sono dedicate ai brand, alle aziende, alle attività no-profit, mentre il profilo privato è privato appunto.

#2. Farsi notare non significa stalkerare?

Il significato corretto di “farsi notare” non è assillare chi ti segue con 2.000 post al giorno, 500 mail e 250 richieste, a meno che tu non stia conducendo una brillante ricerca empirica su come far scappare i tuoi followers.

Farsi notare, al contrario, significa pubblicare contenuti di qualitàindividuare i social più adatti in relazione sia al tuo business sia al tuo target di riferimentoscegliere il linguaggio più appropriato per rivolgerti al tuo pubblico, in quali giorni e in quali orari è preferibile raggiungerlo.

#3. Chi la fa l’aspetti!

Certo, perchè l’arcaica legge del taglione recita “occhio per occhio, dente per dente” e, quando eri alle elementari, alle interrogazioni vi spuntava con una frequenza tale che non l’hai più dimenticata!

Un concorrente o un collega ti provoca? Beh, di certo quel che non devi assolutamente fare è rispondere con la stessa moneta. Ti ripropongo un post che ho scritto il mese scorso in cui ho parlato del valore del silenzio, Quando tacere è meglio che parlare. In alcune situazioni, è proprio il silenzio la miglior risposta che puoi fornire.

#4. I’m so busy! Rispondo quando ho tempo

Sai com’è? Ho tanti impegni, sono sempre di corsa, troppa roba da sbrigare nell’arco di una sola giornata, telefonate, messaggi, email, incontri, pranzi di lavoro, cene con lo staff. Bene, è anche per questo che esistono i professionisti di settore!

Chi ti segue si aspetta da te una risposta in tempi celeri. Prendere tempo comporta due criticità: lasci intendere di non dare il giusto valore a chi ti dedica le sue attenzioni e dai l’impressione di non aver nulla da dire o di non saper come agire e interagire con i tuoi fans nè come reagire  alle loro richieste ed anche  alle critiche che ti muovono. Sui social network non c’è nulla di peggio che dimostrarsi tardivi e superficiali.

#5. Ma sì, apro il profilo, scrivo due cose ed il gioco è fatto

E certo, perché quando invii un curriculum vitae compili solo i campi dedicati al nome, al cognome, alla data di nascita e, nella migliore delle ipotesi, al diploma, vero?

Quando apri un profilo social, è fondamentale completarlo ed arricchirlo con informazioni dettagliate e approfondite, che raccontino con immediatezza chi sei, cosa fai, dove trovarti, come contattarti.

Perciò, bio, motto, foto, link utili, descrizioni (brevi e lunghe), collegamenti e rimandi al blog (o al sito) e agli altri profili social, tutto questo e molto altro ancora ti rende comunicativamente competitivo ed efficace.

#6. Indosso giacca e cravatta o naso rosso e parrucca? 

Hai, per caso, scovato un mafgnifico manuale a cui noi social media cosi non abbiamo ancora avuto la fortuna di attingere? No, perché non credo vi sia scritto da qualche parte che chi informa non può divertire e chi diverte non può informare. Tutt’altro! Nei social network è fondamentale trovare il giusto equilibrio tra le informazioni e il divertimento.

Mi spiego meglio: qualsiasi cosa tu venda, inclusa la tua professionalità, se pubblichi sempre e solo contenuti informativi rischi di risultare pedante e monoto e, al contrario, se i tuoi contenuti sono pensati esclusivamente per divertire il tuo pubblico il pericolo è quello di risultare banale e frivolo. Devi trovare il giusto compromesso, senza dimenticare che essere te stesso premia sempre e che spesso, un po’ come accadeva a scuola, le cose più difficili si imparano proprio divertendosi.

Per gestire al meglio il flusso di notizie che invii ai tuoi followers, ti suggerisco di utilizzare la Piramide dei Contenuti elaborata da Web in Fermento e così strutturata: alla  base trovi i contenuti di intrattenimento, quelli divertenti, da pubblicare tutti i giorni sui social media; poi i contenuti che insegnano (come i post del blog ), che richiedono più impegno da parte di chi ti segue e, perciò, vanno pubblicati 2 volte a settimana;  2 volte al mese, invece, è bene postare contenuti educativi, come i post “how to” o i post- intervista. Salendo la piramide, trovi poi i contenuti coinvolgenti, quali le infografiche e i video professionali, che andrebbero pubblicati 1 volta ogni 2 mesi, per giungere, infine, ai contenuti che entusiasmano il pubblico, quali i concorsi a premio, i blog tour, gli eventi online e offline, a cui dovresti dedicarti ogni 6 mesi.

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Photo: Web in Fermento

Ho trovato particolarmente utile anche il modello 5-3-2 pensato da Riccardo Esposito per gestire gli spazi che sui social dovresti destinare all’autopromozione e quelli, invece, che sarebbe consigliabile dedicare ai contenuti prodotti dagli altri. La proporzione pensata da Riccardo prevede che 5 dei contenuti che pubblichi debbano provenire da altre fonti, 3 debbano poi essere personali e 2 non strettamente legati al lavoro.

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Photo: Riccardo Esposito per Studio Samo

7. Ora mi iscrivo ai social e comincio a vendere come manco il tabacchino sotto casa riesce a fare

E ogni volta che qualcuno pronuncia frasi del genere un social media coso si accascia al pavimento e lentamente muore.

Non sappiamo più in che lingua spiegartelo, ecco! I social non servono a vendere. I social network servono a catturare l’attenzione del tuo target di riferimento, ad attrarre il pubblico con contenuti utili, divertenti ed emozionanti, sono utili per coinvolgere e per farti conoscere, per avvicinarti ai tuoi clienti, per instaurare con loro un rapporto più informale e paritario e, anche per questo, ti aiutano a conquistare la loro fiducia. Non credi che già tutto questo sia un incredibile potenziale che i social mettono a tua disposizione?

 

Raccontami la tua

E’ il tuo turno! Hai notato altre cattive consuetudini che abitano il mondo dei social? Segnalamele nei commenti, sono proprio curiosa! 🙂

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